Il metabolismo del lattosio
Il lattosio è il principale carboidrato (o, più specificatamente, zucchero) presente nel latte; basta guardare l’etichetta, infatti, per vedere come in 100 ml, affianco all’indicazione “carboidrati” si legga solitamente 4,9-5 g e come la stessa quantità venga poi riportata nella sottovoce “di cui zuccheri”. Dunque, di certo è una importante fonte energetica e lo è soprattutto nei mammiferi durante il periodo di allattamento. Essendo però un disaccaride, per assorbirne il potere nutritivo, è necessario idrolizzarlo nei suoi due componenti, glucosio e galattosio, monosaccaridi che vengono facilmente assorbiti nel primo tratto dell’intestino. Tale processo è reso possibile mediante l’azione di un enzima chiamato lattasi-florizina idrolasi (LPH), più comunemente noto come lattasi, espresso unicamente nel tenue e la cui attività è massima fino al periodo dello svezzamento. A partire da tale momento infatti, nella maggior parte degli esseri umani, circa i due terzi della popolazione, l’attività dell’enzima LPH inizia a diminuire drasticamente fino ad essere quasi nulla dai 5 anni in poi. Dunque, in linea generale, non è errato dire che la gran parte della popolazione non digerisca il lattosio e di conseguenza il latte. In queste persone infatti, al momento dell’assunzione dell’alimento, il lattosio non subisce alcuna idrolisi nel tenue ma, al contrario, passa indisturbato e, giunto a livello dell’intestino crasso, viene metabolizzato dai batteri del microbiota i quali lo fermentano ad anidride carbonica, idrogeno molecolare, SCFAs e infine a metano. In altre parole, il lattosio non digerito sarà in grado di aumentare la produzione di gas intestinali, con disturbi quali flatulenza, meteorismo, gonfiore, costipazione e talvolta diarrea, disturbi tipicamente riportati dai soggetti cosiddetti “intolleranti al lattosio”.
La lattosio-tolleranza
Detto questo però, ciò che risulta scorretto è affermare che tutti gli adulti non tollerino il latte: infatti, ci sono individui, facente parti del restante terzo della popolazione, che hanno conservato integra la capacità di digerire latte e latticini contenenti lattosio anche in età adulta. Essi hanno perciò la fortuna di avere quella che si chiama “persistenza della lattasi” (LP), carattere dovuto ad una mutazione genetica, casuale, avvenuta circa 7000 anni fa, che si è visto essere particolarmente comune nei discendenti di popolazioni che hanno tradizionalmente praticamente l’addomesticamento di bestiame. Dunque, è scientificamente provato e dimostrato da numerosi articoli presenti in letteratura, che l’intolleranza al lattosio e, di contro, la persistenza della lattasi siano dovuti ad una variazione genetica e , soprattutto, che la frequenza di LP sia effettivamente più elevata in particolari zone del mondo e molto meno rilevante in altre zone. Ad esempio, vi siete mai chiesti perché un asiatico, tradizionalmente, non beva latte? Il motivo risiede proprio nel fatto che nelle comunità asiatiche la frequenza di LP è molto bassa, a differenza di ciò che si vede invece in Europa settentrionale e, anche se meno spiccatamente, in quella meridionale e nelle popolazione pastorali Africane. Un grande numero di studi, a partire dagli anni 60, ha studiato proprio la distribuzione dei fenotipi della lattasi in tutto il mondo, riportando frequenze nettamente diverse fra le diverse popolazioni e un recentissimo studio spagnolo del 2020 ha raccolto tutti i dati presenti fino ad oggi, generando una mappa del mondo interattiva che permette di esplorare le frequenze LP nel mondo.
Assodata quindi la presenza di individui naturalmente selezionati per continuare a bere latte in età adulta, non ha senso scientifico smettere di farlo in assenza di intolleranza conclamata con Breath test e/o test genetico, in particolar modo se lo si fa per ridurre il consumo di zuccheri o perché si pensa che il latte senza lattosio sia meno calorico. In realtà, infatti, il latte delattosato viene ottenuto con un processo che in sostanza emula ciò che dovrebbe avvenire nell’intestino di soggetti intolleranti: la lattasi infatti viene aggiunta durante il processo produttivo e il disaccaride lattosio viene così scisso nei due monosaccaridi. Ne risulta dunque un latte privo di lattosio ma di fatto costituito dai due componenti dello stesso, motivo per il quale il potere calorico resta esattamente lo stesso, così come non cambia il contenuto di zucchero.
Conclusioni
Dunque, tenendo conto della ricchezza nutritiva del latte come alimento, la LP risulta essere uno dei più forti esempi di selezione positiva riscontrata nel genoma umana. Nonostante l’incredibile numero di studi sul tema, ci sono ancora delle discrepanze per quel che riguarda la sua distribuzione nel mondo, discrepanze che senza alcun dubbio necessitano di ulteriori lavori antropologici nutrizionali. Certamente però è bene sensibilizzare all’esistenza della tolleranza al lattosio, per disincentivare la popolazione a fare scelte alimentari scorrette, come quella di non consumare più latte, in assenza di parere medico e di esiti positivi a seguito di test validati.
AUTORE
Dott. Fabrizio D’Agostino
- Laureato in Scienze Motorie
- Laureato in Biotecnologie per la salute
- Laurea specialistica in Scienze della Nutrizione Umana
- Master in Dietetica Applicata allo Stile di Vita: dalla Sedentarietà all’Attività Sportiva
- Presidente della SIFA (Società Italiana Fitness e Alimentazione)
- Ideatore del software per l’allenamento Fitnessplay.net
- Ideatore del software nutrizionale Sifadieta.com
Bibliografia
Identification of a variant associated with adult-type hypolactasia, Nabil S.E. et al, Nature Genetics, 2002 Genetics of Lactose Intolerance: An Updated Review and Online Interactive World Maps of Phenotype and Genotype Frequencies, Anguita-Ruiz A. et al., Nutrients, 2020
Sitografia
www.humanitas.it