L’infiammazione è un processo fisiologico fondamentale volto a garantire l’integrità dell’organismo, che è scatenato da stimoli nocivi come microrganismi patogeni e danno tissutale. Lo scopo dell’infiammazione è duplice: da un lato interviene per eliminare il fattore che ha causato il danno del tessuto, ed impedirne la diffusione; dall’altro attivare i processi di riparazione dei tessuti danneggiati per il ripristino dell’omeostasi tissutale. Classicamente essa si distingue in acuta e cronica. L’infiammazione acuta si sviluppa nell’arco di alcune ore o giorni ed è caratterizzata da edema dei tessuti sede del danno e reclutamento di cellule immunitarie in cui predominano i neutrofili. L’infiammazione cronica si sviluppa in seguito alla presenza costante di alcuni stimoli o quando l’immunità innata non riesce ad eliminare la noxa patogena, ed è caratterizzata dal reclutamento di altre cellule immunitarie, come macrofagi e linfociti, e da un rimodellamento dei tessuti con neoangiogenesi, fibrosi e formazione di cicatrice. Pertanto, l’infiammazione cronica può essere definita come la “persistenza di una risposta infiammatoria nel tempo (mesi-anni) e la concomitanza e persistenza di processi di danno e riparazione tissutale”.
Accanto alla classica distinzione di infiammazione acuta e cronica, negli ultimi anni si sono definiti diversi gradi di infiammazione intermedia che occupano un ampio range tra i concetti classici di acuto e cronico. Oggi sappiamo infatti che la risposta infiammatoria è all’estremo di un range di risposte che vanno da un’alterazione dell’omeostasi del tessuto in risposta allo stress fino all’infiammazione finale. La presenza di trigger come alterazioni dell’omeostasi tissutale, disfunzioni metaboliche ed esposoma, così come la mancata risoluzione di una risposta infiammatoria acuta, dovuta a fattori sociali, psicologici, ambientali e biologici, determinano lo sviluppo di una forma di infiammazione di basso grado, sistemica e cronica, definita infiammazione cronica di basso grado (low-grade chronic inflammation). Questo tipo di infiammazione, definita anche sistemica, è ormai riconosciuta essere alla base dello sviluppo di molte patologie croniche, dal diabete di tipo 2 alle malattie cardiovascolari, dai tumori alle patologie neurodegenerative; oltre il 50% di tutte le morti possono essere attribuite a patologie a patogenesi infiammatoria. Sempre più evidenze riconducono il rischio di sviluppare infiammazione cronica di basso grado alle primissime fasi dello sviluppo e i suoi effetti persistono durante tutta la vita influenzando il rischio di mortalità e morbidità. La presenza di infiammazione cronica di basso grado in una donna gravida e in adolescenza contribuisce infatti ad un aumentato rischio di sviluppare le cosiddette malattie non comunicabili nella vita adulta. Probabilmente l’esposizione ad un ambiente pro-infiammatorio a partire dall’infanzia ha impatti importanti sullo sviluppo del fenotipo immunitario dell’adulto. L’aumento del tessuto adiposo, specialmente quello viscerale, con iperplasia ed ipertrofia delle cellule adipose e conseguente riduzione della vascolarizzazione e ipossia tissutale, determina la secrezione di citochine e adipochine pro-infiammatorie. Il profilo metabolico degli adipociti passa da glicolitico a lipolitico e molti acidi grassi liberi vengono liberti in circolo. Essi favoriscono e sostengono il processo infiammatorio e il richiamo di macrofagi e linfociti T.
L’infiammazione attivata dall’accumulo adiposo del tessuto viscerale bianco, anche nota come metainfiammazione per via della sua origine metabolica, coinvolge direttamente altri organi quali fegato, pancreas e intestino con i portanti conseguenze per l’omeostasi metabolica generale. Le citochine prodotte dal tessuto adiposo favoriscono l’insorgenza di resistenza all’insulina nel tessuto adiposo stesso, mentre gli acidi grassi liberi circolanti e le molecole pro- infiammatorie alterano la sensibilità all’insulina in fegato e muscolo. L’obesità, infatti, raramente si riscontra da sola, spesso coesiste con una serie di patologie metaboliche, cardiovascolari, reumatiche e muscolo scheletriche. Steatosi epatica non alcolica (NAFLD) e diabete di tipo 2 sono associate all’obesità viscerale. La presenza di NAFLD aumenta del 64% il rischio di sviluppare eventi cardiovascolari. Se un tempo il diabete era una patologia tipica dell’adulto e dell’anziano, oggi il numero di bambini e adolescenti che ne è affetto è aumentato e questo è dovuto allo stile di vita sedentario, alimentazione inadeguata e aumento di peso. L’infiammazione cronica è quindi un fattore favorente lo sviluppo di questa patologia. Il rischio cardiovascolare aumenta in soggetti affetti da patologie infiammatorie croniche come LES, dermatite atopica, artrite reumatoide. L’iperlipidemia è invece condizione necessaria ma non sufficiente per lo sviluppo della placca aterosclerotica, la cui formazione è invece sostenuta dalla concomitante presenza di infiammazione; molte citochine e chemochine sono infatti coinvolte nell’istaurarsi e nella progressione della placca; anche la disbiosi gioca un ruolo chiave: la TMAO (trimetilammina-N- ossido) che si forma in presenza di intestino permeabile a causa di alcuni microrganismi che metabolizzano colina, carnitina e fosfatidilcolina della dieta, favorisce la formazione di foam cells che si depositano nella placca aterosclerotica, attivando le piastrine e contribuendo di un assetto pro- trombotico.
La sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) è solitamente associata a insulino-resistenza, obesità viscerale e iperandrogenismo. Nuovi studi hanno messo in luce anche il ruolo dello stress ossidativo e dell’infiammazione di basso grado nella patogenesi della patologia: queste due condizioni si influenzano reciprocamente creando un circolo vizioso che favorisce lo sviluppo della malattia, sia nelle donne normopeso che in quelle sovrappeso/obese. Nelle donne con PCOS si osservano livelli aumentati di citochine pro. Infiammatorie e proteina C reattiva, marker di infiammazione cronica a basso grado.
L’endometriosi comporta spesso sintomi cronici invalidanti che compromettono la qualità di vita della donna e nel 30-40% dei casi è associata a infertilità. Diversi fattori contribuiscono all’insorgenza di un microambiente infiammatorio che supporta lo sviluppo della patologia e favorisce l’insorgenza del dolore e dell’infertilità. Il tessuto endometriale produce localmente citochine e chemiochine pro- infiammatorie che richiamano neutrofili, macrofagi, monociti, eosinofili e linfociti T. Pertanto, la modulazione della sintesi e l’iperespressione delle citochine pro-infiammatorie e degli altri mediatori, nonché il controllo dello stress ossidativo, svolgono un ruolo fondamentale nel trattamento del dolore e della prevenzione delle complicanze dell’endometriosi.
L’osteoporosi è la principale causa di fratture ossee, con le donne maggiormente colpite dopo la menopausa per via della riduzione della produzione estrogenica. L’omeostasi dell’osso, sbilanciata verso il riassorbimento mediato dagli osteoclasti, determina alterazioni della densità e della microarchitettura ossea con un aumento della fragilità dell’osso stesso. I meccanismi patogenetici sono multifattoriali e di recente è emerso il ruolo dell’infiammazione cronica. Con l’età anche l’aumento dello stress ossidativo e la deposizione di AGEs contribuiscono ad alimentare il processo infiammatorio e il riassorbimento dell’osso.
La prevalenza delle malattie infiammatorie croniche intestinali (IBD) come morbo di Chron e rettocolite ulcerosa, è notevolmente aumentata soprattutto nei pesi occidentali. Tra i fattoi patogenetici che contribuiscono all’insorgenza della malattia troviamo la predisposizione genetica, le alterazioni del microbioma, fattori nutrizionali e ambientali, e la disregolazione immunitaria. Tutti fattori che concorrono alla creazione del danno epiteliale, all’attivazione della risposta immunitaria e alla mancata risoluzione dell’infiammazione che sostiene l’alterazione della barriera epiteliale con un aumento della permeabilità. Si instaura così un circolo vizioso.
L’infiammazione predispone allo sviluppo dei tumori e favorisce tutte le fasi della carcinogenesi. Gioca in questo senso un ruolo fondamentale nella composizione del microambiente tumorale, verso uno stato più permissivo del tumore stesso. Il 15-20% dei tumori è preceduto da condizioni di infezioni, infiammazione cronica e/o reazioni autoimmunitarie nel tessuto stesso: in questi casi l’infiammazione che favorisce il tumore è presente molto tempo prima che il tumore stesso si sviluppi. In altri casi, sono fattori di origine ambientale o alterazioni metaboliche a favorire lo sviluppo di infiammazione localizzata o sistemica che sottenderà alla genesi del tumore. In molti casi è il tumore stesso a creare un ambiente infiammatorio che ne supporta la crescita e la progressione.
L’infiammazione cronica di basso grado è associata anche allo sviluppo di demenza, declino cognitivo, patologie neurodegenerative e psichiatriche. Le citochine pro-infiammatorie possono favorire l’insorgenza di infiammazione a livello del sistema nervoso centrale, esse infatti sono in grado di superare la barriera ematoencefalia.
L’infiammazione cronica è oggi ritenuta alla base dell’insorgenza della maggior parte delle patologie che colpiscono l’uomo; infatti, nel 2004 il Time dedicò all’infiammazione la sua copertina, con il titolo, “Il Killer Segreto”. Numerose sono le sostanze bioattive capaci di contrastare i livelli di infiammazione, con efficacia e pressoché totale assenza di effetti indesiderati. Tra queste spiccano, per efficacia ed evidenze scientifiche, curcuma, boswellia, acidi grassi omega – 3 e presolvine.
AUTORE
Dott. Fabrizio D’Agostino
- Laureato in Scienze Motorie
- Laureato in Biotecnologie per la salute
- Laurea specialistica in Scienze della Nutrizione Umana
- Master in Dietetica Applicata allo Stile di Vita: dalla Sedentarietà all’Attività Sportiva
- Presidente della SIFA (Società Italiana Fitness e Alimentazione)
- Ideatore del software per l’allenamento Fitnessplay.net
- Ideatore del software nutrizionale Sifadieta.com
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