Il microbiota intestinale e il suo patrimonio genetico, “microbioma”, forniscono gli attributi genetici e metabolici utili a favorire l’instaurarsi dell’omeostasi del nostro organismo. È un esempio di mutualismo, ossia cooperazione tra differenti tipologie di organismi che apporta un vantaggio ad ognuna.
La rottura di questa omeostasi è strettamente legata alla comparsa di patologie come IBD, sindrome metabolica, diabete e cancro.
Capire come la nostra dieta e i nutrienti influenzano la composizione batterica, la funzione dinamica e lo stato innato/adattativo del nostro sistema immunitario intestinale, rappresenta, non solo un bisogno di ricerca, ma anche un’opportunità o una sfida per migliorare la salute.
Per prima cosa cerchiamo di capire la natura della sua importanza, dunque, l’attività e la capacità di codificare per determinate funzioni.
Una delle attività importanti del grande microbiota intestinale è quella di scomporre substrati come l’amido resistente e la fibra alimentare, che non sono completamente idrolizzati dagli enzimi ospiti nell’intestino tenue.
I principali prodotti di fermentazione derivanti da questa degradazione delle fibre sono gli acidi grassi a catena corta (SCFA) acetato, propionato e butirrato, che possono essere utilizzati per la sintesi lipidica o glucidica de novo. Gli SCFA batterici forniscono quindi un’ulteriore fonte di energia per il corpo, stimolano il rilascio di insulina con conseguente riduzione della glicemia postprandiale, rallentano lo svuotamento gastrico e promuovono la secrezione di serotonina, che interviene nella regolazione del senso di sazietà.
La crescita e l’attività metabolica dei batteri probiotici come i bifidobatteri e i lattobacilli, protagonisti di un sano microbiota, possono essere stimolati selettivamente da vari carboidrati della dieta non digeriti dall’ospite, detti “prebiotici”.
In effetti, la combinazione probiotica-prebiotica (chiamata simbiotica) è in grado di spostare i batteri predominanti e la produzione di SCFA. Una dieta iperlipidica, dunque, cambia il microbiota in modo complesso e specificamente riduce i bifidobatteri per promuovere il rilascio di endotossine, provocando un meccanismo infiammatorio.
Quando parliamo di prebiotici assunti dalla dieta, ci riferiamo di certo all’assunzione di fibre solubili presenti in frutta, verdura e cereali per il loro contenuto di Inulina e Pectina: la prima abbonda in carciofi, porri, cicoria, cipolle, aglio; la seconda in frutti come mele o pere.
Oltre le verdure, è consigliabile l’assunzione regolare di cibi fermentati come yougurt, kefir, crauti e cibi ricchi di polifenoli (es. vino rosso, frutti di bosco, frutta secca, olio di oliva e cioccolato amaro), i quali forniscono ai batteri energia e permettono la produzione di antiossidanti.
Occhio, invece, ad una dieta con elevato consumo di carne rossa: i batteri hanno un ruolo nel processo di conversione della carnitina in trimetilamina-N-ossido (Tmao), sostanza legata al deposito del colesterolo nelle arterie; alti livelli sono associati a un più alto rischio di malattie cardiovascolari.
Per avere un’idea ancora più chiara del corretto consumo giornaliero di prebiotici, si consiglia una quantità di 30-35 gr/die di cui 2/3 solubile e 1/3 insolubile.
Dott.ssa Antonella De Conte
Farmacista e Consulente Alimentare